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RIVENDICO LA MIA LIBERTÀ DI FORMARMI DOVE DESIDERO: UN VALORE DA PROTEGGERE, NON DA DENIGRARE

Libertà di informazione, la lettera

Negli ultimi anni, la possibilità di conseguire titoli accademici all’estero è diventata un’opzione sempre più comune e apprezzata. Ho avuto l’opportunità di specializzarmi nel sostegno presso un’università europea, esercitando la mia libertà di formarmi dove desidero. Questa scelta, legittima e condivisa da molti studenti in diverse discipline, è spesso arricchita dall’esperienza di programmi come l’ERASMUS, che da sempre promuove un’educazione internazionale come un valore aggiunto.

Tuttavia, navigando tra i social media e le varie chat, ho iniziato a percepire un clima di ostilità nei confronti di chi, come me, ha scelto di specializzarsi all’estero nel sostegno didattico. Ogni giorno, mi imbatto in insulti, provocazioni e accuse infondate che insinuano che io abbia “acquistato” il mio titolo. In realtà, dietro a quella specializzazione c’è il frutto di un impegno costante, sia in termini di studio che di sacrifici economici e personali. Per alcuni colleghi che hanno seguito il percorso nelle università italiane, la mia scelta sembra essere vista come un illecito, un’azione di cui dovermi giustificare.

Quando ho tentato di spiegare le mie ragioni, spesso mi sono sentita rispondere con frasi offensive e denigratorie, come “che vuoi parlare tu che ti sei formata all’estero” o “tu sei ricorsa a scorciatoie”. Questi commenti, oltre a essere ingiustificati, rivelano un atteggiamento di chiusura e intolleranza nei confronti di chi ha semplicemente fatto una scelta diversa.

Mi rivolgo a chi lancia accuse senza fondamento: mi dimostrino di aver “comprato” la mia specializzazione. Ma questo è il minimo, considerando alcune affermazioni che, nel tentativo di rivendicare una presunta posizione di prevalenza, incitano alla violenza nei nostri confronti e verso chi ci sostiene. Tali affermazioni sono estremamente pericolose e possono comportare gravi conseguenze legali per chi le pronuncia, alimentando un clima di odio che siamo stanchi di subire. È inaccettabile essere etichettati con termini denigratori, e la legge condanna severamente ogni forma di incitamento all’odio.

È fondamentale che chi occupa una posizione di responsabilità, come gli insegnanti, in particolare coloro che operano con alunni con bisogni educativi speciali, si renda conto del potere delle parole. Ogni affermazione, ogni insulto, può avere conseguenze profonde e durature. In un contesto educativo, dove la comprensione e il rispetto dovrebbero prevalere, è essenziale promuovere un dialogo costruttivo e rispettoso, che tenga conto della diversità delle opinioni.

La diversità delle esperienze di formazione deve essere vista come un arricchimento, non come un motivo di divisione. La scelta di studiare all’estero non deve essere stigmatizzata, ma celebrata come un’opportunità di crescita personale e professionale. Dobbiamo lavorare insieme per costruire un ambiente in cui le differenze siano rispettate e valorizzate, dove ogni percorso formativo sia riconosciuto per il suo valore intrinseco. Solo così potremo davvero promuovere una cultura di inclusione e rispetto nel nostro sistema educativo.

Speriamo che, dopo i corsi indire, i miei colleghi che possono parteciparvi – io purtroppo non rientro nei requisiti per il limite dei 120 giorni – possano finalmente liberarsi della lettera scarlatta “R” nelle GPS, così da non essere più oggetto di discriminazione e possano svolgere la propria professione in serenità, senza il timore di essere giudicati “solo per una scelta di libertà”.

Ma spero anche che il ministero trovi una soluzione pure per noi esclusi, e non ci lasci abbandonati in questo calvario fatto di ricorsi, attese e denigrazioni legate alla lettera “R” che ci continuerà a contrassegnare.

Dott.ssa Antonella Pasquale

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