Importante sentenza ottenuta da un ricorso presentato dalla FLC CGIL sul mancato rinnovo dei contratti. Si tratta di una sentenza che unisce e non che divide, come spesso ci capita di assistere in questi ultimi anni. Adesso il governo dovrà rinnovare i contratti del comparto scuola, fermi ancora al rinnovo del 2006. A fare il punto della situazione è Corrado Zunino nell’articolo che segue.
Il ricorso è fondato. “Il sacrificio del diritto fondamentale tutelato dall’articolo 39 della Costituzione non è più tollerabile”. Scrive questo il giudice Fabrizio Gandini del Tribunale di Roma e con la sentenza affidata ieri alla cancelleria ordina alla Presidenza del Consiglio e all’Aran, l’agenzia che cura la parte negoziale delle pubbliche amministrazioni, di aprire subito, “senza ritardo e per quanto di loro competenza”, le trattative per il rinnovo dei contratti di scuola e università. Meglio, di riaprire dopo sei anni di ferma – voluta dal governo Berlusconi IV e confermata dai successivi esecutivi – le trattative sul contratto del mondo della scuola, dell’università, della ricerca, dell’Afam” (formazione musicale) “e delle relative aree dirigenziali”.
Il ricorso, infatti, era stato avanzato dalla Flc Cgil, il comparto della conoscenza del sindacato confederale. “Il giudice ha accolto pienamente la nostra rivendicazione”, ha commentato Domenico Pantaleo, segretario Cgil scuola, “questa sentenza rende evidente l’illegittimità di molti contenuti della legge “La buona scuola” che mettono in discussione il contratto nazionale e la contrattazione nelle scuole”.
La contrattazione sulla parte economica deve tener conto, ha stabilito il tribunale, del giudizio di illegittimità costituzionale dato dalla Consulta a proposito del blocco del rinnovo. Scatterà dallo scorso 30 luglio, giorno di pubblicazione della sentenza dell’Alta corte. Il giudice Gandini ha spiegato: “Se i periodi di sospensione delle procedure negoziali e contrattuali non possono essere ancorati al rigido termine di un anno, il carattere ormai sistematico di tale sospensione sconfina in un bilanciamento irragionevole tra libertà sindacale (articolo 39, primo comma, Costituzione) ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo della spesa, all’interno di una coerente programmazione finanziaria”. Dopo sei anni “si è palesata appieno la natura strutturale della sospensione della contrattazione e può, pertanto, considerarsi verificata la sopravvenuta illegittimità costituzionale”.
La sentenza intima che “vengano rimossi, per il futuro, i limiti che si frappongono allo svolgimento delle procedure negoziali riguardanti la parte economica” e, quindi, “sarà compito del legislatore dare nuovo impulso all’ordinaria dialettica contrattuale”. In buona sostanza, scrive il giudice, “per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale è stato rimosso dal nostro ordinamento il blocco della contrattazione collettiva nel settore del pubblico impiego”. Appare evidente che “l’inerzia della pubblica amministrazione potrebbe contribuire ad alterare ulteriormente la dinamica negoziale in un settore che al contratto collettivo assegna un ruolo centrale”.
Chiosa la Cgil: “Il Governo metta a disposizione le risorse necessarie e apra subito le trattative per i rinnovi contrattuali”.