“Margie aveva sempre odiato la scuola, ma ora la odiava più che mai. L’insegnante meccanico le aveva assegnato un test dopo l’altro di geografia, e lei aveva risposto sempre peggio, finché la madre aveva scosso la testa, avvilita, e aveva mandato a chiamare l’Ispettore della Contea. Era un omino tondo tondo, l’Ispettore, con una faccia rossa e uno scatolone di arnesi con fili e con quadranti. Aveva sorriso a Margie e le aveva offerto una mela, poi aveva smontato l’insegnante in tanti pezzi.
(…) Margie obbedì con un sospiro. Stava pensando alle vecchie scuole che c’erano quando il nonno di suo nonno era bambino. Ci andavano i ragazzi di tutto il vicinato, ridevano e vociavano nel cortile, sedevano insieme in classe, tornavano a casa insieme alla fine della giornata. Imparavano le stesse cose, così potevano darsi una mano a fare i compiti e parlare di quello che avevano da studiare. E i maestri erano persone…”
Isaac Asimov, “Chissà come si divertivano!”, in Tutti i racconti, Mondadori 1991
Le magnifiche sorti e progressive nell’intuizione straordinaria di Asimov, che già nella prima metà del secolo scorso, usando la letteratura, preannunciava gli effetti graduali e subdoli della civiltà tecnologica come un degrado che avrebbe asservito l’uomo alla macchina e la sua intelligenza a quella fittizia dei pixel.
Temo francamente che ci troviamo ad un punto di non ritorno. Ecco perché questa della “maestra Genia” non mi pare una bella notizia.
In questo racconto che prefigura di decenni la tirannia del digitale nella scuola, le persone sono sostituite da macchine e al posto dei battiti del loro cuore ci sono tanti fili su cui corre l’elettricità. Ma Margie vive nella magia dei ricordi del nonno quando a scuola i maestri erano persone, i bambini sfogliavano i libri e si aiutavano a fare i compiti…
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