Il Governo sta valutando possibili modifiche alle regole per le pensioni anticipate al fine di controllare la spesa previdenziale anche nel 2025. Tra le opzioni prese in considerazione vi è l’allungamento delle finestre d’uscita, ovvero l’intervallo temporale tra la maturazione dei requisiti per il pensionamento e l’effettivo accesso alla pensione.
Attualmente tale finestra è di 3 mesi per i lavoratori del settore privato e di 6 mesi per i dipendenti pubblici che decidono di andare in pensione con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne). Secondo le indiscrezioni trapelate, l’esecutivo starebbe valutando di estendere tali termini a 6-7 mesi per tutti, rendendo così più lungo l’intervallo tra la maturazione del diritto e la sua effettiva fruizione.
Quali potrebbero essere le conseguenze di questa ipotesi? Andrebbe ad allineare le regole sulle pensioni anticipate a quelle di “Quota 103”, che ha introdotto finestre di 7 mesi nel privato e 9 nel pubblico. Significherebbe dover lavorare ulteriori 3-4 mesi (o più in caso di estensione a 7 mesi) prima di andare in quiescenza. Inoltre, si subirebbe il ricalcolo contributivo dell’assegno per i mesi in più di contribuzione. Una decisione che renderebbe meno conveniente il pensionamento anticipato.
Meno probabile ma non esclusa è un’ulteriore misura, vale a dire l’estensione del calcolo contributivo a tutti gli anni di contribuzione anche per le pensioni con 42+10. Questo implicherebbe un risparmio per lo Stato ma potrebbe non essere politicamente praticabile data la consistente riduzione degli importi pensionistici. Un tema delicato e complesso, sul quale il Governo dovrà trovare la giusta mediazione tra esigenze di bilancio e tutele previdenziali.
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