L’ultimo rapporto ISTAT mostra un preoccupante incremento della povertà lavorativa nel nostro Paese, con la quota di occupati a rischio povertà salita al 11,5% nel 2022, contro il 9,5% di dieci anni fa. Un trend negativo che allarga il divario con la media UE, attestata all’8,5%. Solo la Spagna presenta una situazione peggiore tra i principali Stati membri.
Il livello di istruzione gioca un ruolo determinante: con la sola licenza elementare si è esposti ad un rischio del 18,7%, che scende al 5,1% per chi possiede un titolo terziario. Anche la cittadinanza è un fattore discriminante: gli stranieri hanno circa 15 punti in più di probabilità di entrare in condizioni di povertà rispetto agli italiani.
Un altro elemento di vulnerabilità è la precarizzazione del lavoro: i part-time sono i più a rischio con il 19,9% (+10 punti sui full-time), seguiti da contratti a termine (16,2%) e lavoratori autonomi (17%). Questi dati dimostrano come l’emergere di nuove forme di occupazione flessibile e non standardizzata abbia influito negativamente sul benessere economico dei lavoratori.
Il fenomeno della povertà lavorativa pone l’Italia di fronte ad una significativa sfida per recuperare il ritardo nel tasso di occupazione e garantire stabilità e dignità a chi, nonostante svolga un’attività retribuita, non riesce ad assicurarsi un tenore di vita minimamente accettabile.
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