Oltre alla scuola, l’Autonomia Differenziata darebbe il colpo di grazia anche alla sanità pubblica rendendo il Sud ancora più povero e dipendente della sanità del Nord. La denuncia arriva da Gimbe.
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L’autonomia differenziata in sanità rischia di rendere il divario tra Nord e Sud una frattura strutturale, aumentando le disuguaglianze nell’accesso alle cure e compromettendo il diritto costituzionale alla salute di tutti i cittadini. È l’allarme lanciato dalla Fondazione GIMBE nel suo ultimo report sulla mobilità sanitaria, che analizza i flussi economici tra le Regioni nel 2021.
I dati sono implacabili: le Regioni del Nord raccolgono oltre il 90% della mobilità sanitaria attiva, attirando milioni di pazienti dal Centro-Sud, mentre ben il 76,9% della mobilità passiva, ovvero l’indice di “fuga” dei pazienti dalle proprie Regioni, è concentrata in quelle meridionali. Per non parlare dei saldi netti tra entrate ed uscite: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto registrano avanzi superiori ai 200 milioni, mentre tutte le Regioni con passivi rilevanti sono nel Mezzogiorno.
Uno scenario che, secondo la Fondazione GIMBE, verrebbe ulteriormente aggravato dalla concessione di maggiori autonomie alle Regioni più efficienti del Nord che, di fatto, potenzierebbero i propri servizi a scapito delle strutture del Sud, sempre più depauperate. Un abbandono al proprio destino che la stessa autonomia differenziata formalizzerebbe, sancendo la definitiva dipendenza del Mezzogiorno dalla sanità settentrionale.
Per questo la Fondazione ritiene indispensabile escludere la tutela della salute dalle materie dell’autonomia, per non compromettere irrimediabilmente l’uguaglianza dei cittadini davanti al diritto alla cura e assestare il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale. Ci giochiamo una partita vitale per il futuro del Paese: cedere all’autonomia in sanità significherebbe accettare la sconfitta della coesione territoriale e sociale sancita dalla nostra Costituzione.
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