Negli ultimi anni, la concessione dei permessi personali durante le lezioni da parte dei docenti ha creato non poche ambiguità interpretative. Ora, un’importante sentenza della Cassazione sembra aver fatto finalmente chiarezza in materia, ristabilendo i giusti equilibri tra diritti dei lavoratori e necessità di continuità didattica.
Finora, pronunce contrastanti avevano alimentato un certo grado di incertezza normativa. Da un lato, infatti, i sindacati sostenevano la natura discrezionale del diritto ai permessi; dall’altro, taluni giudici di merito sembravano escludere margini valutativi da parte dei presidi.
Ora, con l’ordinanza numero 12991 del 13 maggio 2024, la Cassazione ha respinto il ricorso di un docente cui era stato negato il permesso, confermando la validità del bilanciamento tra interessi operato dal dirigente. Secondo i giudici supremi, infatti, il contratto prevede espressamente che il permesso debba essere giustificato da “motivi personali o familiari”, adeguatamente documentati e idonei a motivare l’assenza.
Tale impostazione ricalca pienamente la posizione dell’ANP, che da sempre sostiene come i diritti del personale scolastico non possano porsi in contrasto con quello dei discenti a un’offerta formativa regolare. La Cassazione sembra aver recepito tale logica, riconoscendo espressamente ai dirigenti il potere di valutare le richieste dei docenti, bilanciandole con le esigenze organizzative.
In definitiva, la sentenza appare risolutiva di una questione annosa, fissando paletti chiari per l’esercizio di tale facoltà contrattuale. I docenti dovranno adesso motivare compiutamente le loro assenze, mentre i presidi potranno legittimamente negare i permessi in mancanza dei requisiti previsti dal CCNL. Un punto fermo importante per garantire stabilità alle scuole e tutelare allo stesso tempo il diritto all’istruzione.
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