Intervistiamo il prof Luigi Dotti da 36 anni è professore di materie letterarie negli Istituti tecnici. Autore con altri del volume: Le carte dei poveri: l’Archivio della Congregazione di carità e la beneficenza a Chiari in età moderna e contemporanea, edito da Grafo.
Da molti anni è vice-capo redattore della rivista Professione Docente. In qualità di responsabile del Centro studi della Gilda degli insegnanti ha organizzato e partecipazione a centinaia di convegni e seminari nazionali e locali sulle tematiche scolastiche.
È stato Coordinatore provinciale della Gilda degli Insegnanti di Brescia per 3 mandati. Dal 2012 è stato membro degli organismi statutari nazionali della Gilda degli Insegnanti e della Federazione Gilda-Unams (FGU).
Attualmente è membro dell’Esecutivo nazionale della FGU.
Prof. Dotti, come è cambiato il lavoro degli insegnanti in questi ultimi anni con leggi che erano state presentate come palingenetiche, ci riferiamo all’autonomia scolastica e alla dirigenza ma anche al proliferare nelle scuole di figure cosiddette di sistema con molteplici compiti di coordinamento e di gestione che nulla hanno a che fare con l’insegnamento?
La professione docente negli ultimi decenni è profondamente cambiata, e purtroppo non in meglio. Ne sono prova le grandi difficoltà testimoniate dalle centinaia di migliaia di docenti e lo scarso appeal che ha sulle nuove generazioni.
Nel contesto socio-economico neoliberista, che prevale nella politica italiana, è maturata la sciagurata introduzione dell’Autonomia scolastica, con il corallaio della dirigenza agli ex-presidi, che ha avviato il tentativo ancora in atto di trasformare la professione docente e la scuola istituzione nella scuola azienda.
Tuttavia, le norme di riferimento, quali la Costituzione e il D.lgs. N. 297/1994, sulla professione docente non sono state modificate. Secondo queste norme, il compito dell’insegnante è quello di trasmettere, nella piena libertà di scelta dei metodi, il sapere disciplinare elaborato dalle generazioni passate, così che le nuove generazioni possono continuare, e anzi migliorare, l’opera di civiltà fin qui realizzata .
La professione docente non è per sua natura e per la Costituzione un’attività privata o commerciale, ma è garantita da un “mandato sociale” perché non deve soddisfare le esigenze delle famiglie o degli alunni o di chiunque altro consumatore, ma garantire la trasmissione del sapere per assicurare un futuro al nostro mondo.
Purtroppo, a causa del venir meno della responsabilità educativa collettiva da parte degli adulti in generale e di una politica scolastica alla ricerca del facile consenso, vengono scaricate sulla scuola e sulla professione docente, tutta una serie di compiti che storicamente e deontologicamente appartengono prioritariamente alla famiglia e alla società adulta in generale, piuttosto che alla scuola.
Consiglierei oggi a un ragazzo o una ragazza che frequenta la scuola secondaria di secondo grado di intraprendere il lavoro di insegnante e perché? Secondo molti osservatori si corre il rischio tra qualche anno di non trovare più docenti, del resto questo già accade in alcuni paesi europei e in alcuni stati degli USA.
La professione docente è stata ed è la più bella del mondo, ma rischia di non esserlo più in futuro. Naturalmente come tutte le professioni, anche la professione docente vive delle critiche del tempo in cui si esercita, ricordo che già sant’Agostino si lamentava degli alunni indisciplinati e sembra che anche per questo lasciò l’insegnamento.
Gli scarsi stipendi, la fatica nella gestione delle classi e, soprattutto, il disorientamento rispetto all’insegnamento delle proprie discipline e al ruolo che si vorrebbe imporre all’insegnante nella scuola azienda che si profila non aiuta certo un giovane a scegliere di insegnare.
I dati che abbiamo a disposizione indicano questa tendenza, in particolare per quanto riguarda le materie scientifiche. Sono necessari quindi interventi importanti, sia a livello economico che a livello professionale, per rendere attrattiva la professione docente. La politica scolastica degli ultimi governi sembra andare nella direzione esattamente opposta nonostante le numerose parole spese a difesa della professione docente.
Passiamo alla legge di bilancio 2025, il DL approvato dal CdM dopo l’OK dell’Europa, inutile dire senza tanti giri di parole, taglia risorse alla scuola. Iniziamo con gli organici 2025/26. Per la prima volta dal 2008 si taglia il numero degli insegnanti e degli ATA in rapporto alla denatalità. Quindi avremo meno insegnanti e non meno alunni per classe come aveva detto l’ex Ministro Patrizio Bianchi.
In realtà, per quello che ci risulta, anche nel corso degli anni precedenti, gli interventi di riduzione dell’organico, ci sono stati, non sull’organico di diritto, ma su quello di fatto, ma pur sempre di riduzioni si tratta.
In modo miope, la politica scolastica dei governi che si sono succeduti in questi ultimi decenni non ha colto l’occasione della riduzione del numero degli alunni, per migliorare il rapporto numero alunni per classe e quindi migliorare la qualità dell’apprendimento.
Per quanto riguarda gli organici, va detto a chi sostiene che il numero degli alunni in rapporto ai docenti è più alto della media europea che gli organici in Italia, rispetto ai Paesi Europei, tengono conto anche dell’organico di religione cattolica e dell’organico del sostegno, che fa dell’Italia il paese all’avanguardia per l’inclusione.
La Legge di bilancio 2025 inoltre se anticipa i due contratti successivi per i quali si prospetta per i docenti un ulteriore appiattimento retributivo fino al 2030, non stanzia un solo euro per il contratto che deve essere ancora firmato. L’aumento in media si aggira su circa 50 euro netti.
Per il rinnovo del CCNL 2022/2024 in scadenza sembra che siano disponibili risorse per un aumento degli stipendi comprensivo dell’anticipo IVC del 6%. Di fronte all’inflazione media del periodo 2022/2024, che è di circa il 15%, il recupero del potere d’acquisto dei docenti è meno della metà. Tra l’altro l’aumento in percentuale, considerato che i docenti hanno lo stipendio più basso tra i laureati della PA, aumenta il divario tra le retribuzioni del resto della PA e il personale della scuola.
Per colmare questi divari stipendiali è necessario stanziare risorse solo per la scuola e recuperare le risorse della Carta del docente che vanno messe nello stipendio, così come quanto resta nel FIS dell’ex-bonus merito di Renzi.
Andrebbe anche trovata una soluzione contrattuale al recupero dello scatto del 2013 adesso che l’Europa e la Cassazione hanno certificato la necessità di recuperare giuridicamente questo anno per gli scatti di anzianità.
I sindacati della Scuola si sono già espressi sulla legge di bilancio in modo negativo con comunicati, due di essi hanno anche proclamato lo sciopero con risultati molto modesti la Flc Cgil (5,4% il 31 ottobre), insignificanti l’Anief (meno dell ‘1% il 15 novembre). Le Confederazioni Cgil e Uil hanno poi dichiarato uno sciopero generale per il 29 novembre ma per la scuola hanno partecipato solo la Flc Cgil, la Uil Scuola Rua ei Cobas con una percentuale di adesioni del 6,4% (dato parziale a 5 giorni dallo sciopero ).
La Fgu non ha partecipazione.Perché? Prof. Dotti, come si giustifica la passività e la disaffezione quasi il fastidio degli insegnanti nei confronti dello sciopero?
La Federazione Gilda-Unams non ha partecipazione allo sciopero del 29 novembre perché in questi casi ritiene indispensabile una preparazione e una tempistica che garantiscano il successo della mobilitazione, in mancanza della quale lo sciopero può rivelarsi un boomerang.
La particolarità del sistema di istruzione suddiviso in circa 8mila presidenze e oltre 40 mila plessi su tutto il territorio nazionale, necessità un’attività di informazione molto capillare al fine di raggiungere tutti i docenti e tutto il personale per spiegare le ragioni dello sciopero, così da favorire la partecipazione. Ricordo che la mobilitazione e l’opera di informazione per lo sciopero più riuscito di tutti i tempi, quello del 5 maggio 2015 contro la 107, iniziato nell’autunno dell’anno precedente.
Per quanto riguarda invece la disaffezione degli insegnanti non solo verso lo sciopero ma anche verso gli organismi collegiali, come l’attiva partecipazione al Collegio dei docenti, che rimane l’organo decisionale sulla didattica, dove il dirigente scolastico vale uno, le cause sono diverse . Innanzitutto, l’affermarsi della scuola azienda e della obsoleta governance dirigenziale, gerarchica e competitiva (vedi middle management), che vive con come un impiccio gli spazi di partecipazione. A questo si aggiunge l’attuale fase di transizione al digitale che con l’imperversare dei sociale ha l’effetto opposto al significato del termine e promuove in realtà un individualismo incontrollato nel quale prevale l’interesse “particolare” (no-social) a scapito dell’interesse collettivo (si vede tutta la discussione sulle riunioni in presenza).
Nella legge di bilancio se da una parte ci sono tagli e poche risorse per i prossimi due contratti , sono stati soldi per progetti e attività aggiuntive e si trovano ancora soldi per Orientatori e Tutor per i quali si prevede inoltre un punteggio aggiuntivo nelle graduatorie di istituto per l’individuazione dei soprannumerari (si parla di 5 punti come una seconda laurea), secondo lei si potrebbe aprire uno scenario nei prossimi contratti della scuola, a iniziare dal prossimo, non solo per una differenziazione nelle retribuzioni ma anche per l’avvento di quello che l’ANP e le associazioni di collaboratori dei DS come l’ANCODIS chiamano Middle Management?
Nella logica della politica scolastica di questi ultimi anni, quella cioè della scuola azienda, è chiaro l’obiettivo di introdurre il “middle management”, tuttavia, fino ad oggi, tutti i tentativi, proprio perché la scuola non è un’azienda, sono falliti.
A mio avviso, dai dati che abbiamo, anche la sperimentazione della scuola secondaria di secondo grado dei tutor scolastici e orientatori, non sta producendo i risultati attesi dal Ministro, per cui, conoscendo le scuole e le attività che si svolgono, sarebbe opportuno utilizzare le risorse fino ad ora impiegate per questi tutor, per retribuire con il prossimo CCNL l’attività dei coordinatori di classe, senza creare alcun “middle management”.
Prof Dotti, lei è nella Gilda degli insegnanti dai tempi del compianto prof. Sandro Gigliotti che rivendicò per la prima volta la figura dell’insegnante come professionista, oggi le sembra che l’insegnante sia più un professionista come auspicava Gigliotti o un impiegato passivo esecutore di una didattica di stato? Insomma che tipo di insegnante si configura nella Scuola 4.0?
Ritengo che la transizione che a livello mondiale si sta attuando verso il digitale sicuramente sta avendo, e avrà ancora di più in futuro, ricadute anche sulla professione docente. Tuttavia come per tutte le innovazioni, dopo l’innamoramento per la novità, ci sarà un periodo di assestamento.
Un dato è certo, le cassandre che paventano la sostituzione del docente con le strabilianti tecnologie di questi ultimi anni, sono destinate al fallimento perché l’insegnamento, e di conseguenza l’apprendimento, ha la sua essenza, esiste solo, nella relazione tra chi insegna e chi apprende, relazione che deve essere asimmetrica e può essere gestita solo da esseri umani e non da macchine, come ci ricorda Manfred Spitzer nel suo ultimo libro.
Il ruolo dell’insegnante non si limita ad accumulare nozioni, che sono solo la base dell’apprendimento e che può essere fatto anche dai sistemi intelligenti come la IA, ma si realizza nel dare un senso alle conoscenze, compito che nessuna macchina potrà mai eseguire .
Per questo la professione docente non può essere equiparata né può essere vissuta come professione impiegatizia, ma per trarre il meglio è necessario liberarla dalle pastoie della burocrazia e dalle norme che ne limitano la libertà.
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