Intervista a Giuseppe D’Aprile (Uil Scuola Rua) di Libero Tassella

È stato firmato al Ministero l’integrazione al CCNI sulla mobilità 24/25 del personale della scuola ed è stata pubblicata anche l’OM. Per la prima volta la Uil Scuola RUA non è stata presente in quanto non firmataria del CCNL 24/25. Sono state precisate le deroghe ai vincoli nella mobilità per il personale docente e DSGA. I vincoli nella mobilità sono stati una delle ragioni per cui la Uil Scuola RUA non ha firmato il CCNL 19/21. Per l’Aran e i sindacati firmatari il Contratto non può modificare la norma che peraltro è citata nel testo dello stesso Contratto, per voi invece il Contratto , lo avete ribadito da sempre, può modificare la norma. Come ha visto dall’esterno questa trattativa sulla mobilità che in pratica si è conclusa solo con l’esplicitazione delle deroghe contrattuali? A suo avviso come dovrebbe essere modificata la mobilità del personale della scuola? Da settembre sarà riscritto il CCNI e voi sarete ancora fuori.

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Il CCNL 2019/21 era l’occasione, come è stato più volte ribadito non solo da noi, di riportare la mobilità interamente nell’alveo contrattuale. È evidente che, se un contratto si sottopone ai vincoli di legge, perde la sua natura pattizia e ha poca ragione di esistere. Ciò non è successo in passato quando, attraverso la contrattazione, abbiamo “cancellato” disposizioni legislative che riguardavano la mobilità dei docenti: chiamata diretta, titolarità regionale e scelta degli ambiti al posto delle scuole.
Negli ultimi due anni la mobilità del personale docente è stata regolata da un Contratto integrativo, firmato da una sola organizzazione sindacale, in cui i vincoli di legge sono stati ben esplicitati, e da una ordinanza ministeriale che non ha fatto altro che richiamarli.
E invece, quegli stessi vincoli, seppur con qualche deroga, sono stati ora inseriti nel CCNL 2019/21 e regolati da una ordinanza ministeriale per la mobilità dell’a.s. 2024/25.
A nostro parere, con la sottoscrizione del nuovo CCNL, la contrattazione e la concertazione vengono sostituite dal concetto “dell’adesione” ad atti normativi già preesistenti, aprendo un solco inarrestabile tra il valore pattizio dell’opera sindacale e la supremazia della legge.
Continuiamo a sostenere che i vincoli sulla mobilità, istituiti in nome della “continuità didattica” da garantire, non hanno ragione di esistere, vanno eliminati ed eventualmente sostituiti con altre forme che siano di incentivazione e non di divieti, come per esempio assegnare un punteggio aggiuntivo a chi non chiede trasferimento. Soluzione che è stata già utilizzata in passato e che è risultata anche gradita dai docenti.

Nella scuola e nel pubblico impiego partecipano alle contrattazioni successive a tutti i livelli solo i sindacati firmatari del CCNL. Non le sembra che questo dia al Governo e quindi all’ARAN un’arma di ricatto? Così un sindacato come il suo con circa il 17% di rappresentatività si trova escluso dai contratti nazionali, regionali e di istituto. Quindi il criterio non è solo la rappresentatività ma aver firmato o meno il CCNL. Mi domando perché non uniformare il settore pubblico con il settore privato, dove non vige la norma capestro del se non firmi sei fuori?
Credo che i sindacati confederali debbano porsi questo problema.

l principio di rappresentatività sindacale trova origine nella Costituzione che attribuisce ai sindacati il potere di stipulare contratti collettivi nazionali di categoria, vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alla categoria produttiva oggetto di contrattazione. Appare, pertanto, contraddittorio che dall’esercizio di una libertà tutelata costituzionalmente possano derivare conseguenze negative a carico di un’associazione sindacale che ha una rappresentatività di circa il 17%.
La UIL Scuola Rua a prescindere dalla mancata firma del CCNL è tuttora coprotagonista degli assetti contrattuali a livello nazionale. L’amministrazione, in particolare, in coerenza con l’orientamento già espresso per altre associazioni sindacali, può ben far propria l’auspicata interpretazione, riconoscendo il diritto della UIL Scuola Rua a partecipare alla contrattazione collettiva integrativa, senza per questo entrare in conflitto con l’art. 30 del CCNL del 2023 ma solo doverosamente interpretandolo in conformità con i principi costituzionali e con il ruolo di agente negoziale che la UIL Scuola Rua ha svolto anche nella tornata contrattuale 2022 -2023 e precedenti.

Il non aver sottoscritto il CCNL non può limitare, a parer nostro, la partecipazione alle contrattazioni nazionali e territoriali soprattutto se le stesse regolano la vita lavorativa di quelle persone che hanno scelto, appunto, di farsi rappresentare. E’ una limitazione, tra l’atro non presente nei precedenti CCNL nelle parti che riguardano informativa e confronto che, in effetti, andrebbe rivisitata in quanto al limite dell’incostituzionalità.

Supplenze, ogni anno aumentano, uno studio della Uil Scuola lo ha evidenziato in questi giorni , si assiste ad una precarizzazione del personale per contenere la spesa e ad assunzioni solo sul turn over. Quali sono le vostre soluzioni? Tra breve si aggiorneranno le Gae e le GPS, c’è stata un’informativa sindacale, avete partecipato?

C’è stata un’informativa sindacale ma non siamo stati convocati.
Il personale docente precario è raddoppiato in otto anni, passando dal 12% del 2015 al 24% del totale nel 2023. Una crescita costante, che ha attraversato governi e maggioranze diverse, arrivando al dato attuale di 234.576 insegnanti precari su un totale di 943.68 docenti in servizio. Non fa eccezione il personale Ata: uno su cinque è precario. Secondo il nostro studio di analisi relativo al 2023, il 21,64% del personale ha un contratto a tempo determinato. Otto anni fa la percentuale era del 12,75%.
Le situazioni politiche da affrontare prima di qualsiasi soluzione tecnica dovranno necessariamente scaturire dalla presa d’atto che il sistema di reclutamento – comprese le numerose procedure concorsuali – e le politiche di investimento nei riguardi del precariato, attuate finora, sono state fallimentari. Lo dicono i numeri con i quali la politica deve smettere di giocare nel rispetto delle persone che vivono una quotidianità fatta di disorientamento senza alcuna certezza per il proprio futuro. La via maestra è rappresentata dagli investimenti. Le soluzioni le abbiamo fornite.
Prima di tutto rivedere tutte le procedure di reclutamento e trasformare i posti dall’organico di fatto in posti in organico di diritto. Ciò consentirebbe di immettere in ruolo circa 250 mila precari che comporta, calcoli alla mano, una differenza di spesa di 180.345.425,04 euro all’anno – 715 euro per ogni precario – e permetterebbe un beneficio enorme in termini di continuità didattica e un vantaggio sociale, in senso più ampio. La strada giusta non è tagliare le risorse per far quadrare i conti del bilancio, ma investire sulla scuola per garantire stabilità al personale interessato. Solo così si potrà risolvere questa criticità. Un cambio di rotta che deve partire dalla consapevolezza che, senza la stabilizzazione del personale, si pregiudica la qualità della scuola e inevitabilmente le sorti delle nuove generazioni e, quindi, di questo paese.

Autonomia differenziata, sappiamo che il suo sindacato da tempo anche con il suo predecessore Pino Turi ne paventa i pericoli per la scuola e il suo personale. Si rischia di avere 20 scuole regionali diverse, e 20 contratti diversi. Il cittadino italiano avrà una scuola diversa in base alla regione in cui il caso lo ha fatto nascere. Saranno le regioni a determinare il tempo scuola, gli organici del personale e i contratti regionali definiranno le retribuzioni e gli orari di servizio. E la distribuzione delle risorse finirà per danneggiare le regioni più povere anche perché per i Lep non sono state previste risorse. In tal modo un ragazzo calabrese di Diamante avrà una scuola di serie C mentre un ragazzo lombardo di Monza una scuola di serie A.

La regionalizzazione della scuola aveva già compiuto un passo avanti per l’approvazione il 21 Dicembre 2018, quando la cosiddetta “autonomia differenziata” – prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – era stata illustrata in Consiglio dei ministri, dando così il via alla discussione nei palazzi della politica nazionale sulla formazione delle leggi di stampo regionale. Manifestazioni e scioperi già nel lontano 2019. Oggi stiamo ancora aspettando di conoscere il pensiero di tutte le forze politiche che dovrebbero rappresentare anche l’opinione di quel milione di lavoratori che conoscono davvero la scuola italiana, che la fanno funzionare tutti i giorni con passione e responsabilità, indipendentemente dal luogo di lavoro. Il rischio è quello di differenziare l’organizzazione didattica andando a toccare anche graduatorie e stipendi degli insegnanti. Differenziare programmazione, offerta formativa e percorsi di alternanza scuola-lavoro, decidere in maniera autonoma l’assegnazione di contributi alle scuole paritarie e regionalizzare sia i fondi statali per il diritto allo studio che il trattamento economico del personale scolastico.
Si tratterebbe, in sostanza, di creare una serie di meccanismi scolastici altamente differenziati in base alla regione e basati sulle risorse economiche delle singole regioni; ciò comporterebbe il venire a mancare dell’unitarietà dell’istruzione. Per quanto ci riguarda ci opporremo in ogni modo legittimo, e nel rispetto della costituzione, contro scelte che possano dividere il Paese. La scuola per noi è solo quella nazionale. Diversamente si decreterebbe, non solo la frammentazione e la diseguaglianza nell’accesso all’istruzione, ma la fine del sistema scolastico nazionale. Al di là della questione Nord/Sud che, personalmente penso, nel caso della scuola, non rappresenti il problema principale su cui focalizzare il dissenso, pensiamo che la scuola rappresenti il luogo principale per la costruzione dell’eguaglianza sociale. Il mondo della conoscenza deve unire l’Italia e non dividerla. Il tutto per un paese più unito, più eguale, più giusto, più coeso. Per questo lo Stato deve mantenere un ruolo centrale nell’istruzione, attraverso un modello che sia garanzia di laicità, gratuità e pluralismo che contribuisca a mantenere alto il livello qualitativo dell’istruzione, che rappresenta uno dei principali fattori di crescita economica e sociale di qualsiasi paese. E’ questo il nostro punto di riferimento. Diversamente non faremo mancare la nostra opposizione nei riguardi di iniziative politiche che ci vedrebbero corresponsabili nell’accentuare un divario culturale e conseguentemente sociale che potrebbe iniziare proprio dalla scuola che invece dovrebbe essere lontana da logiche divisive. La scuola per noi è scuola del Paese. È nazionale.

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