Il Comitato dei Docenti Precari Specializzati all’Estero desidera esprimere la propria posizione in merito alle recenti critiche e prossime manifestazioni mosse contro le politiche del Ministro Valditara e del Governo, che mirano a riconoscere l’equipollenza dei titoli accademici conseguiti all’estero tramite i corsi INDIRE e a promuovere l’apertura verso le università online.
Queste politiche sono state ingiustamente accusate di mettere in pericolo il diritto all’istruzione e di compromettere la qualità dell’insegnamento per gli studenti con disabilità. Riteniamo che queste critiche siano non solo infondate, ma anche in contrasto con i principi del diritto italiano, europeo e quanto sancito dalla Corte di Giustizia dell’Ue.
I docenti che hanno scelto di specializzarsi all’estero hanno rispettato tutte le normative vigenti, affrontando percorsi formativi intensi e rigorosi. Si parla di corsi che prevedono oltre 1500 ore di studio, 60 crediti formativi, più di 30 materie trattate, esami mensili e una prova finale con discussione di una tesi. Il percorso di specializzazione all’estero non è né inferiore né meno qualificante di quello italiano, e la libera circolazione dei titoli è garantita dalle normative europee.
La Corte di Giustizia Europea e il Consiglio di Stato hanno ribadito che questi titoli sono validi e devono essere riconosciuti. Nello specifico la Corte di Giustizia dell’Ue sostiene che la diversità dei titoli e delle qualifiche potrebbe costituire un impedimento alla libera circolazione dei professionisti nell’Unione Europea. Ecco perché l’UE ha da tempo introdotto norme che regolano il reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali tra gli Stati membri. Ignorare tali sentenze e chiedere l’esclusione di questi docenti è un atto gravemente discriminatorio.
Ci chiediamo se coloro che protestano si rendano conto di vivere in un contesto europeo che promuove la libera circolazione dei titoli accademici. Le direttive europee, ratificate dalle leggi italiane, legittimano la circolazione dei titoli di studio ottenuti in uno Stato membro dell’Unione Europea. Questo principio non è una scelta discrezionale del governo italiano, ma un obbligo derivante dall’appartenenza all’Unione Europea, che garantisce ai cittadini il riconoscimento dei loro titoli in qualsiasi paese dell’Unione.
Manifestare contro questo principio significa andare contro uno Stato di diritto che rispetta e applica le leggi sia a livello nazionale che comunitario. Queste leggi non sono state imposte arbitrariamente, ma sono il risultato di un processo democratico e sono state esaminate e approvate dalla magistratura italiana.
La Corte di Giustizia dell’EU, Il Consiglio di Stato, attraverso la sua adunanza plenaria, e il TAR Lazio hanno confermato la piena legittimità di queste normative, sottolineando l’obbligo dell’Italia di adeguarsi alle disposizioni europee. Ignorare queste decisioni significa disconoscere i fondamenti stessi della democrazia e dello Stato di diritto.
Un’altra questione che non possiamo ignorare riguarda la mancanza di coerenza nelle proteste attuali. Dove erano questi docenti e chi li appoggia quando, per anni, le cattedre di sostegno per gli studenti disabili sono state occupate da docenti senza alcuna specializzazione? È noto che, soprattutto nelle regioni del nord Italia, molte posizioni di sostegno sono state assegnate a insegnanti che non avevano né l’abilitazione né la specializzazione necessarie per affrontare le complesse esigenze educative degli studenti disabili.
Questa situazione, che ha messo a rischio la qualità dell’istruzione per gli studenti più vulnerabili, non ha suscitato proteste o manifestazioni. È dunque paradossale che ora ci si opponga all’inserimento di docenti specializzati all’estero, che hanno seguito percorsi formativi rigorosi e completi, con l’accusa che tali insegnanti metterebbero a rischio la qualità dell’istruzione. Al contrario, questi docenti rappresentano una risorsa preziosa per il sistema scolastico italiano, capaci di offrire competenze specifiche e di colmare il vuoto formativo che per anni ha caratterizzato molte scuole italiane.
La Costituzione italiana sancisce il diritto al lavoro. I docenti specializzati all’estero sono lavoratori che hanno seguito un percorso legittimo e riconosciuto, e come tali hanno diritto a vedere tutelate le loro aspirazioni professionali. Chiedere il loro blocco significa negare loro il diritto di accedere al mondo del lavoro e privarli del loro sostentamento. Questo è inaccettabile e deve essere stigmatizzato con forza. Dividere i docenti in “buoni” e “cattivi” è un atteggiamento pericoloso che alimenta odio e divisioni all’interno della scuola.
I corsi INDIRE, recentemente promossi dal governo, rappresentano un’opportunità concreta per sanare eventuali differenze tra i percorsi di studio italiani e quelli esteri. Questi corsi non sono un espediente per facilitare l’ingresso di personale non qualificato, ma un processo legittimo e trasparente di allineamento accademico, volto a garantire che tutti i docenti, indipendentemente dal luogo in cui hanno conseguito la loro specializzazione, possano offrire un’istruzione di qualità.
Protestare contro i corsi INDIRE significa opporsi a un’iniziativa che mira a stabilizzare la posizione di docenti qualificati e a garantire agli studenti un’istruzione adeguata. Questo è particolarmente rilevante per gli studenti con disabilità, i quali hanno diritto a essere seguiti da insegnanti preparati e competenti. I corsi INDIRE, infatti, rispondono all’esigenza di fornire una formazione completa e conforme agli standard italiani, offrendo finalmente una soluzione al problema della mancanza di stabilità e continuità nell’insegnamento di sostegno.
È contraddittorio che chi oggi manifesta per “un’istruzione qualitativamente accettabile e con docenti non precari che cambiano di anno in anno” si opponga all’inserimento di docenti specializzati all’estero. Questi insegnanti, grazie alle politiche di riconoscimento dei titoli esteri e ai corsi INDIRE, potrebbero finalmente offrire una stabilità e una qualità dell’insegnamento superiore a quella garantita dai docenti non specializzati che in passato hanno occupato le stesse cattedre.
Inoltre, il riconoscimento dei titoli esteri e l’apertura verso le università online offrono una soluzione concreta alla cronica mancanza di docenti specializzati, permettendo di colmare le lacune del sistema scolastico italiano e di offrire a tutti gli studenti, in particolare a quelli con disabilità, un’istruzione adeguata e continuativa.
Chiediamo ai colleghi italiani e a chi li appoggerà di riflettere sulle loro posizioni: la vera equità si raggiunge accogliendo tutti i lavoratori qualificati e rispettando le leggi. Il tentativo di ghettizzare i docenti specializzati all’estero non solo è ingiusto, ma danneggia anche la scuola italiana. In molte regioni, specialmente al nord, c’è una grave carenza di insegnanti di sostegno, spesso supplita da personale non specializzato.
Il Comitato dei Docenti Precari Specializzati all’Estero invita tutti i soggetti coinvolti a riflettere attentamente sulle proprie posizioni e a considerare le conseguenze di opporsi a principi fondamentali del diritto italiano ed europeo. La scuola italiana ha bisogno di evolversi e di accogliere tutte le risorse disponibili, indipendentemente dalla loro provenienza, per garantire a tutti gli studenti un’istruzione di qualità.
Il progresso non può essere fermato, e l’inclusività e la qualità dell’istruzione non possono essere sacrificate per difendere posizioni anacronistiche. Solo unendo le forze, superando le divisioni, lavorando insieme e rispettando le leggi, i principi europei e i diritti di tutti potremo costruire una scuola migliore, veramente equa, capace di rispondere alle esigenze di tutti gli studenti, specialmente quelli più vulnerabili e all’altezza delle aspettative dei nostri studenti.
Il portavoce del Comitato dei Docenti Precari Specializzati all’Estero DPSE
Avv. Renato Bellofiore
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