Vorrei tanto che l’opinione pubblica in Italia, sebbene aizzata da vari governi e governicchi che si sono succeduti e da organi e organetti di stampa più o meno addestrati allo scopo, riflettesse un po’ insieme a noi docenti, su quale sia la realtà della situazione.
Mi rivolgo, quindi, agli studenti e ai genitori che, sulla loro (nostra, anch’io sono genitore) pelle, hanno subito la cosiddetta “onta” della “triste” realtà scolastica italiana.
Tagli, riforme, controriforme, la scuola azienda, le tre i, i debiti, i crediti, una girandola infinita di parole e concetti vuoti spesso causa di vergognosi sperperi di capitale economico ed umano. Soprattutto causa di grande disorientamento per gli studenti, per i docenti e per i genitori.
Mi rivolgo anche a quel nutrito drappello di persone, variegato per estrazione sociale e livello educativo, che, parlando del “lavoro” degli insegnanti, invoca le miniere di carbone e le catene di montaggio. Forse la scuola non li ha trattati bene…
Mi sono sempre chiesto, però, perché mai un simile accostamento non abbia mai toccato un medico, un magistrato, un avvocato. La risposta, forse, è in un’amara ma divertente storiella che ho letto su uno dei libri che parlano di scuola.
Un preside, pardon, un dirigente scolastico, irrigidito di fronte all’ennesima richiesta di permesso da parte di una docente alle prese con i malanni di stagione dei propri figli le chiede: “Ma, signora e suo marito?” E la prof gli risponde: “Cosa vuole, mio marito lavora…”
Ecco, forse, è un po’ anche colpa nostra. Il rispetto dovremmo anche guadagnarcelo con un po’ più di coraggio.
Veniamo ai luoghi comuni: la scuola italiana è allo sfascio, costa troppo, produce poco, gli insegnanti scaldano le sedie, hanno quattro, cinque, sei, mesi di ferie l’anno, sono troppi e mal selezionati, ecc.
Analizziamo questi “luoghi comuni” uno ad uno, facendo però un patto.
Io vi dirò delle cose, vi dirò anche dove andarvele a leggere (vedasi citazioni e bibliografia di riferimento) e voi vi troverete di fronte ad una scelta: fidarvi oppure controllare.
Inutile dirvi che mi piacerebbe tanto che operaste la seconda scelta… Se c’è un errore che noi genitori (o cittadini) abbiamo sempre commesso, è stato quello di fidarci troppo di quello che c’è scritto sui giornali o di quello che ci viene detto da terzi. Oggi, poi, grazie all’avvento di internet, è possibile accedere spesso alle fonti dirette. Perché non approfittarne? In fondo, in fondo, direbbe Homer Simpson, si tratta pur sempre dei miei figli…
La scuola italiana costa troppo e produce poco. Se, e sottolineo se, fosse vero sarebbe colpa degli insegnanti? Interi settori produttivi sono in crisi in Italia, eppure non mi pare che qualcuno abbia mai dato la colpa alle persone che ci lavorano. Qualcuno potrebbe obiettare che ci sono stati eroici ministri che hanno tentato di cambiare le cose e si sono scontrati con il muro dell’inerzia e dei sindacati sempre pronti a difendere lo status quo. Mi dispiace, ma non è così: mai come in questo momento la “famigerata” unità sindacale è stata così debole e mai come in questo momento la scuola, aldilà di qualche riformetta, ha subito tagli come quelli degli ultimi venti anni. Perché è di questo che si tratta: tagli , tagli solo tagli… La scuola è l’apparato statale che più di ogni altro ha pagato la contrazione della spesa pubblica: molto più di quanto non sia avvenuto, ad esempio, per la sanità. La percentuale della spesa pubblica destinata all’istruzione è passata dal 25,7% del 1980 al 20% nel 2009. Nello stesso periodo la spesa sanitaria è passata dal 29,7% al 33,8%. (P.Giarda in: Dinamica, struttura e governo della spesa pubblica: un rapporto preliminare. IEF0104 settembre 2011). Insomma un crollo di quasi 6 punti percentuali non mi sembra che vada nella direzione della spesa fuori controllo… Se poi non vi fidate del ministro P. Giarda (quello della spending review) potete consultare le tavole T B2.1, T B2.2,T B2.3 del documento dell’OECD Education at glance 2012 scaricabile liberamente dalla rete (www.eurydice.org) per confrontare quanto si spende in Italia per la formazione rispetto ad altri paesi dell’Unione Europea.
E se non bastasse: blocco del contratto di lavoro da cinque anni, blocco della progressione di carriera (con ricadute sulla misera quanto improbabile pensione) ed eliminazione della vacanza contrattale.
Il presunto sfascio viene poi ricondotto alla cattiva qualità della formazione degli insegnanti prima e degli studenti poi. Di nuovo non sono d’accordo. Se e sottolineo se gli insegnanti sono mal selezionati la colpa non è la loro. Di contro, gli studenti dei licei mostrano livelli di apprendimento in linea con gli standard europeri e i laureati italiani, spesso costretti ad emigrare all’estero, non sono secondi a nessuno. Il problema, semmai, è l’istruzione tecnica che potrebbe essere una formidabile leva per avvicinare formazione e mercato del lavoro ma… Semplicemente non è così. Di nuovo, è colpa degli insegnanti?
Gli insegnanti sono troppi. Spesso sui “giornali” si legge che il numero di docenti in Italia è il 40% in più che negli altri paesi. Di nuovo, vi invito a consultare le tavole C D2.1, C D2.2 e C D2.3 del documento Education at glance 2012 OECD. Servono solo un po’ di inglese e saper calcolare qualche percentuale. Vi sfido a trovare questo 40% in più… E’ vero, gli insegnanti italiani sono di più rispetto alla media europea, ma l’Italia è l’unico paese europeo che conta fra i propri insegnanti circa 100.000 insegnanti di sostegno (un vanto per la nostra repubblica) e circa 27.000 insegnanti di religione cattolica. In totale circa il 12-13% del numero totale degli insegnanti attualmente in servizio. Insomma se si vogliono fare confronti bisogna farli in modo onesto…
Aggiungo, inoltre, che l’Italia è un paese pieno di piccoli comuni e piccole comunità montane spesso difficilmente raggiungibili. Se per queste realtà si fosse pensato ad un’organizzazione diversa del percorso scolastico, avremmo forse realizzato un piccolo tassello di quella che, in ambienti dove si lavora, si chiama razionalizzazione e ottimizzazione. Perché non è mai stato fatto?
Gli insegnati italiani lavorano poco e hanno troppe ferie. Su questo aspetto l’opinione pubblica, opportunamente pilotata dai vari riformatori di turno, scaglia le sue critiche più feroci. Bene, torniamo al solito documento (Education at glance del 2012). Consultiamo le tavole T D4.1, T D4.2, C D4.1, C D4.2 e CD4.3. Queste tavole vanno lette con molta attenzione. Sono l’oggetto dello scandalo in questo momento. Prima considerazione: in quasi tutti i paesi europei si parla di “unità orarie” e non di ore geografiche (di 60 minuti). Un insegnante tedesco può svolgere 22 unità orarie a settimana ma si tratta di “ore” di 45 minuti, quindi 22 moltiplicato per 0,75 fa 16,5 ore di 60 minuti a settimana. Avete letto bene: l’integerrimo insegnante tedesco svolge, settimanalmente, meno ore di lezione frontale di un collega italiano. Anche il sistema scolastico finlandese tanto caro alla non compianta ministra Gelmini non spreme di più i suoi docenti con il tradizionale lavoro in classe.
A questo punto si obietta, però, che un insegnante europeo lavora, per contratto, quasi 1200 ore l’anno. E qui cercano di imbrogliare di nuovo. La tabella che lorsignori citano è la T D4.1 dove ci sono due colonne interessanti: la colonna “net teaching in hours” (ma tenete a mente il trucco delle “ore” tedesche..) e la colonna “working time required at school”. Se leggete attentamente, al rigo riguardante l’Italia, nella seconda colonna appaiono tante belle “a” che, nella legenda, significano “this category does not apply”, cioè, tradotto in termini: nessuno, dall’Italia, ci ha detto niente. In altre parole, il docente italiano lavora (dicono loro) solo a scuola e solo18 ore (vere) a settimana. Nessuno, dall’Italia, ha reso edotti gli scienziati dell’OECD che anche gli insegnanti italiani assolvono a compiti istituzionali e non, ben oltre le 18 ore settimanali (riunioni, esami, scrutini, preparazione e correzione di prove, colloqui con le famiglie, ecc.). E siccome in Italia, di solito, chi parla di scuola non lavora a scuola, ecco bella e pronta l’icona dell’insegnante italiano parassita e fannullone…
Per fortuna, però, qualcuno si è preso la briga di effettuare uno studio dettagliato e approfondito su quale sia la vera portata del lavoro di un docente in Italia.
Potete scaricare dalla rete un documento della Apollis “Orario e carico di lavoro degli insegnanti in provincia di Bolzano – risultati di un’indagine empirica” di Hermann Atz, Ulrick Becker e Elena Vanzo, Bolzano 2006. Vi invito a leggere i risultati ottenuti da questa indagine riassunti nel grafico 37 pag. 85 oppure la tabella 14 pag 86. Da essi si evince che il carico di lavoro annuo supera abbondantemente le 1300 ore. Come e forse più del resto dell’Europa.
Naturalmente potete obiettare quello che volete e perfino contattare gli autori per verificare se sono amici degli insegnanti. E’ giusto. Non potete negare, però, la più totale latitanza degli organi ufficiali di governo della scuola nel non sottolineare quanto si lavori oltre le famose 18 ore a settimana… E concludo questa parte svelando un’altra piccola grande fandonia: gli integerrimi docenti tedeschi hanno circa 11 settimane di ferie l’anno. Gli italiani, invece, infingardi e fannulloni, hanno circa 11 settimane di ferie l’anno. Potete verificare tutto questo e molto altro, sempre scaricando il file School_calendar_2011_2012.pdf sempre dal sito www.eurydice.org.
Infine, la piaga dell’assenteismo. I dati della ragioneria generale dello Stato indicano che i docenti, in media, si assentano meno dei loro colleghi della p.a. (Conto annuale 2010). E gli italiani, guarda un po’, sono “assenteisti” come il resto degli europei (fonte: Italia Oggi7, Lunedi 16 Febbraio 2009, pag 51)
Lo stipendio. Ne vogliamo parlare? Parliamone… Cominciamo col dire che in Italia il docente di scuola superiore guadagna poco meno del 60% del personale laureato di pari anzianità (i già citati medici, avvocati, professionisti, ecc…). In Germania la percentuale sale al 98%. (Sole24ore, Stipendi cenerentola per i docenti italiani, di Claudio Tucci, 12 ottobre 2012).
Poi, solo qualche dato (sempre da Education at glance 2012): dopo 15 anni di carriera un docente italiano guadagna (a parità di potere di acquisto e senza contare le tasse) 36582 dollariUSA/anno. Un docente tedesco di pari anzianità: 66685 dollariUSA/anno, in Inghilterra 44145, in Francia un po’ meno circa 35000, ma a fine carriera il francese arriva a 51000 contro i 45600 italiani.
A questo punto due domande:
A chi giova parlare male della scuola italiana e dei docenti italiani? Vi consiglio la lettura dell’interessante articoletto in cui si parla del ministro Profumo che vagheggia l’acquisto di un tablet per ogni studente (spesa prevista, compresa fra uno e tre miliardi). Con quali soldi? Indovinate un po’?
E quando si parla di dove reperire risorse per non tagliare sempre tagliare, chiedete, di nuovo, a lorsignori che bisogno abbiamo di spendere più di sedici miliardi di euro per l’acquisto degli indispensabili aerei da guerra F-35?
E la penale per il fantomatico ponte sullo stretto di Messina?
E… (a ben vedere, è un’unica grande domanda…)
E, secondo voi, cosa accadrebbe se i “fannulloni” di cui sopra si fermassero e lavorassero fattivamente SOLO ed esclusivamente le loro 18 ore settimanali di cattedra eliminando:
le riunioni collegiali, i consigli di classe, i ricevimenti, la preparazione delle lezioni, la correzione dei compiti scritti (un docente con quattro classi può arrivare a circa 800-1000 compiti scritti in un anno), i coordinamenti, le visite di istruzione, i corsi di approfondimento e di recupero, i gruppi di lavoro sull’handicap, la gestione dei laboratori, le certificazioni delle lingue straniere, gli esami per la patente europea di informatica, gli esami per il patentino del ciclomotore, le attività teatrali, gli incarichi di gestione e di vicepresidenza, le attività di orientamento in entrata e in uscita, sportelli di ascolto del disagio giovanile, Olimpiadi della matematica, Olimpiadi della fisica, Olimpiadi dell’informatica, ecc…?
Maurizio Bellatreccia
23/10/2012