La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21520 del 6 giugno 2024, ha confermato un orientamento ormai consolidato: i lavoratori del settore pubblico non possono ricevere aumenti salariali individuali, i cosiddetti “superminimi”. La norma di riferimento è l’articolo 45 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che vieta trattamenti economici migliorativi o peggiorativi rispetto a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva.
La Suprema Corte ha ricordato che gli unici incrementi stipendiali ammessi sono quelli derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale e integrativa. Qualsiasi altra forma di aumento individuale viene considerata nulla. Di conseguenza, la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di avviare un’azione di recupero delle somme indebitamente corrisposte.
Il caso preso in esame dai giudici riguardava il personale del comparto sanità, ma il principio si applica indistintamente a tutti i dipendenti pubblici. Negli anni scorsi, la Cassazione aveva già emesso analoghe sentenze per chiarire in modo inequivocabile questa impostazione.
Con questa pronuncia, la Corte ha confermato ancora una volta l’assoluta prevalenza dei contratti collettivi come unico canale per definire gli stipendi e gli scatti di anzianità nel pubblico impiego. Una chiara affermazione del ruolo centrale della contrattazione nella determinazione di livelli retributivi uniformi per tutti i lavoratori.
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