Il diritto allo studio è un pilastro fondamentale della nostra Costituzione, ma cosa accade quando le norme non garantiscono un’efficace applicazione di questo principio? Aldo Mucci, voce autorevole in tema di inclusione e istruzione, solleva un interrogativo cruciale: “C’è qualcosa di contrario alla logica del mio pensiero”.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7989 del 12 agosto 2024, ha ribadito che il decreto legislativo 66/2017 deve essere applicato letteralmente. Questo implica che gli enti locali sono tenuti ad assicurare l’assistenza necessaria per l’autonomia degli studenti con disabilità, nei limiti delle risorse disponibili. Tuttavia, qui si manifesta il paradosso: mentre il sostegno didattico rientra nelle competenze delle scuole, l’assistenza per l’autonomia è affidata agli enti territoriali, spesso alle prese con risorse finanziarie insufficienti.
La sentenza si sofferma anche sul ruolo del Piano Educativo Individualizzato (PEI), uno strumento chiave per richiedere risorse agli enti locali. Ma nonostante i vent’anni di evoluzione normativa, tra decreti ministeriali e sentenze, manca ancora una linea chiara e definitiva. Secondo Mucci, il problema risiede proprio in questa frammentarietà: “Una stessa norma viene interpretata in modo diverso nel 2023 e nel 2024. Forse c’è qualcosa che non va nelle norme, per come sono scritte”.
Questa ambiguità normativa genera un quadro desolante: da un lato un’assistenza spesso inadeguata, dall’altro un sostegno didattico che, pur rientrando nel diritto costituzionale all’istruzione, fatica a essere concretizzato per tutti gli studenti.
Mentre ci avviciniamo al 2025, la necessità di una riforma chiara e inclusiva si fa sempre più urgente. Per Mucci, il diritto allo studio non può essere subordinato a una questione di bilancio. E se il sistema attuale mostra falle, è il momento di agire per tutelare pienamente i diritti dei più fragili.
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