Di didattica a distanza siamo costretti a parlarne adesso a causa di un evento eccezionale e inaspettato che coinvolge l’intero Paese, tutti e ciascuno di noi.
Un evento che, è bene premetterlo subito, mette in primo piano la tutela della salute propria e quella di coloro a noi più prossimi, tutto il resto va classificato dal secondo posto in poi.
Proprio per questo non c’è clima e spazio oggi per discutere serenamente e con cognizione di causa per fare un uso conforme e condiviso democraticamente di questo strumento offerto dalle nuove tecnologie.
Intanto va considerata per quello che è nell’ambito della scuola pubblica, un supporto tecnologico e niente di più. Da usare in situazioni drammatiche perché costretti ma non pensare mai che possa avere le caratteristiche permanenti e universali del “fare scuola” dentro la scuola, nel rapporto fisico e umano fra pari, fra docente e discente, nelle relazioni dialettiche che si instaurano in un classe e al di là della classe nella comunità educante che comprende anche l’ambiente, il quartiere, la città, la diversa e variegata realtà del vivere sociale, delle disparità economiche o di altro genere che ne formano la ricchezza.
Il lavoro da casa per la scuola, totalizzante e panacea di tutti i mali, non può essere inteso come lo smartwork di un lavoro impiegatizio o di direzione di una qualsiasi azienda privata o della pubblica amministrazione. Non si può pretendere di mettere insieme davanti un computer e per un numero di ore standardizzato, studenti, alunni e loro docenti, peraltro coinvolgendo sotto un’ unica autorità (Miur, DS?) le stesse famiglie, l’organizzazione di ogni abitazione, uguali e multiple possibilità di connessioni per diverse esigenze dei componenti, stessi orari, omologare arredamento, attrezzature e persino suggerire programmi di applicazione incontrollati e incontrollabili mai offerti gratis dal web, registri elettronici compresi.
Senza voler approfondire, i gruppi scuola dei docenti che non sono in vacanza e che sono nella stragrande maggioranza da subito impegnati a trovare un modo per collegarsi ai loro studenti e alunni in una situazione di emergenza che perdura e promette di andare fino alle settimane successive alla Pasqua, chiedono sostanzialmente una sola cosa che si riassume in una sola parola “flessibilità”.
Lo chiedono al Miur, che continua ad affidare ai soli dirigenti scolastici, burocraticamente, senza indicazioni precise e relative responsabilità su cosa fare per l’attivazione della “didattica a distanza”, come se si trattasse di un semplice e ordinario adempimento d’ufficio avulso da ogni avvenimento circostante e sappiamo già tutti il tipo di avvenimento che stiamo vivendo. Salvo poi enfatizzare in televisione o nella stampa il mito delle “scuole aperte”, di alunno e studente che non è abbandonato a se stesso e che si ha nel cuore.
Non funziona così, quello che è avvenuto nella realtà è strabiliante, ad opera soprattutto dei dirigenti scolastici che hanno interpretato ciascuno a suo modo indicazioni fuori da ogni legge, norma, contratto di lavoro, contravvenendo a volte agli stessi decreti del Presidente del Consiglio che, quelli sì, fanno testo in un Paese in emergenza sanitaria.
La logica perversa è stata quella di farsi legislatori ognuno nella propria scuola in senso privatistico, di emettere circolari, tentare controlli e vessazioni sui docenti o addirittura anche sugli studenti, stabilire un unico e più perfetto modo di fare “didattica a distanza”, dimenticando che non c’è nessuna normativa a loro sostegno.
Tutti comportamenti arbitrari, quando bastava un semplice gesto di richiesta di aiuto ai docenti che avrebbero indicato quello che stanno facendo da professionisti e da persone che hanno anche un compito sociale e un codice deontologico, fra mille difficoltà soggettive e oggettive.
C’era fra i dirigenti scolastici chi si ostinava a voler fare riunioni a scuola a scuola, cosa proibita e altamente rischiosa. Chi vuole fare riunioni virtuali e deliberare, non valide a qualsiasi fine. Chi vuole usare il registro elettronico per controllare la presenza di docenti e alunni davanti ad uno schermo, non valido e rischio di falso . Chi pretende le valutazioni, esposte a qualsiasi ricorso con responsabilità personale del docente e via di seguito.
Non importa a tanti dirigenti scolastici la violazione della privacy anche sui minori, l’inevitabile limite alla libertà e completezza dell’insegnamento, delle possibili discriminazioni sulle disponibilità di connessioni per scuole e studenti, degli interessi commerciali di chi usa l’una o l’altra piattaforma, dell’ampia offerta di formazione sull’argomento a pagamento o diversamente gratuita.
Niente, per molti dirigenti scolastici, pressati dalle note del Miur, Uffici scolastici regionali, territoriali o d’ambito, mal consigliati dalle loro associazioni nazionali come l’ ANP e simili, va maturando l’idea che questo sia il loro compito, fare a meno dei docenti e del loro parere, del parere di chi invece deve materialmente fare e si prende tutta la responsabilità.
Ciò premesso, in attesa che il dibattito intorno alla didattica a distanza possa svilupparsi in tempi migliori, non c’è che ribadire quello che abbiamo sempre scritto e dal primo giorno della chiusura reale delle scuole e che qualcuno continua a chiamare “sospensione delle attività didattiche”, siamo al paradosso di chi vuole e pretende il virtuale e non sa leggere più la realtà.
La realtà è che i docenti hanno bisogno di fiducia e rispetto per continuare a fare quello che stanno facendo senza averne obbligo contrattuale e senza bisogno di circolari che non comincino con una semplice e umile frase come questa “nel ringraziarVi per l’impegno e la professionalità che state dimostrando nel collegarVi con i vostri studenti e alunni, con i Vostri mezzi e nelle forme volontarie non essendoci alcuna normativa che regola la didattica a distanza, si comunica che..” e si concluda in questo modo: “nell’attesa di una decisione collegiale in presenza quando sarà possibile nei locali scolastici per formalizzare e approvare ogni atto eventualmente a supporto di quanto state facendo… Cordiali saluti”.
Quindi mettiamo da parte ogni polemica, non è tempo di farla, avendo tutti l’obiettivo primario della sconfitta della pandemia. A patto che il Miur non continui a riferirsi ai ds e alle loro personali interpretazioni su cosa fare e come fare. E’ un compito che spetta ai docenti nel segno della flessibilità, secondo scienza e coscienza senza bisogno di dirigismo e prescrizioni autoritarie che rimarrebbero tutte contra legem.
Ci lascino lavorare in pace e in autonomia. Anche questo sarebbe un modo per garantire la libertà di insegnamento prevista dalla Costituzione e la sola esclusiva competenza professionale riconosciuta che nessuno può mettere in discussione dietro una scrivania.
Niente note, se non quelle esclusivamente di supporto, senza prescrizioni, niente proclami. Le scuole sono chiuse ma i docenti, quando serve, ci sono sempre con tutte le loro possibilità per i propri studenti, a questi ultimi si consiglia di continuare a studiare autonomamente e negli orari che vogliono e possono, di chiedere ai loro insegnanti ogni consiglio utile, in forma telefonica e informatica, di informarsi sul possibile uso di piattaforme e programmi, di lezioni online se possibili, avranno sicuramente le risposte adeguate. Tutto è rinviabile e recuperabile. Anche DS e ATA non hanno motivo di stare a scuola e usare anche loro quando serve il supporto informatico. Dobbiamo adeguarci ai DPCM, stare a casa, uscire il meno possibile per un tempo speriamo breve e comunque limitato. Ce la faremo.
S.B.C. ( Scuola Bene Comune)