“Classi pollaio, le “trappole” dove finisce l’’inesperto d’aula”

Classi pollaio. Il tema rappresenta un campo insidioso per l’inesperto d’aula. Egli mette i suoi piedi su due trappole che ne dichiarano il suo profilo teorico.

Classi pollaio e l’inesperto

Classi pollaio. Freddo e caldo. Sono due concetti termici. Essi però possono rappresentare degli indicatori per risolvere ogni dubbio sul grado di esperienza dell’interlocutore.

Nella zona fredda si trovano soggetti che pontificano, ed esprimono le loro posizioni, proponendo ricerche nazionali o considerazioni personali. In questo gruppo troviamo professori universitari, politici e altri, che parlano di tecnicalità, di percentuali, manifestando il loro profilo teorico.

L’aula la conoscono, ma non la sperimentano da anni. Non la frequentano nella sua rumorosità, e come intreccio di storie, emozioni, fragilità che caratterizzano i nostri ragazzi. Da qui il loro tratto freddo.

Le “trappole” delle classi pollaio

Il tema delle classi affollate riguardando persone non può essere trattato attraverso numeri e ricerche.

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Si entra in un campo dove sono presenti due trappole. Immancabilmente l’inesperto ci finisce sopra, rilevando la sua inadeguatezza a trattare il tema.
Mi riferisco alle criticità organizzative e alla componente emotiva. Quest’ultima è il reale discrimine. Chi vive le classi pollaio esprime il disagio e la sofferenza nel non riuscire a raggiungere tutti gli alunni (l’inclusione è il nuovo termine che fa tendenza). I ragazzi non sono numeri, ma persone. Questa consapevolezza comporta rabbia, insofferenza e frustrazione a conseguire l’obiettivo prefissato dall’art.3 comma 2 della Costituzione (“R’ compito della repubblica rimuovere…”

Una docente che “vive la classe pollaio”

Per dare concretezza al ragionamento riporto qualche passaggio di un articolo (Micromega 30 gennaio 2023) di una docente realmente esperta di classe pollaio, in quanto ogni giorno la vive. Lascio al lettore il compito di coglierne le differenze con le dichiarazioni dei teorici.
““…il dubbio si insinua tra le parole della dirigente: se non si arriva al minimo di venticinque studenti per classe, la terza prima non si farà. E questo indipendentemente dalla presenza e dal numero di iscritti BES, ovvero alunni dai Bisogni Educativi Speciali, legati sia all’apprendimento, sia a disabilità psichiche e/o fisiche, sia a svantaggi sociali. I numeri diventano una discriminante inesorabile, l’opposto del messaggio di inclusione che questa scuola vuole dare. Quando le iscrizioni non sono un multiplo di venticinque, salta una classe e ci si ritrova con prime da 30 alunni, con o senza alunni BES…Ogni giorno guardiamo il ‘bollettino dei numeri’. Ogni giorno, da neo assunta in questa scuola, ho una o due ore nell’unica prima liceo di questa sede, e mi confronto con una classe di ventinove studenti. Di questi, cinque hanno certificazioni per le quali c’è bisogno di attenzioni particolari, sia dal punto di vista della didattica, che del rapporto umano. Che poi, al di là di questi certificati, ogni adolescente che affronta il primo anno di scuola superiore, ha bisogni speciali, soprattutto nell’era post pandemia. Riuscire a individuarli e trovare strade per facilitare l’apprendimento, è una missione che si complica esponenzialmente quando i numeri salgono…Tenere’ una classe di venti persone, come si dice costantemente di noi docenti, ‘che sappiamo o non sappiamo tenere la classe’, è un obiettivo possibile. ‘Tenerne’ una di trenta persone diventa un’utopia, una chimera, un sogno che ci toglie il sonno la notte”.

Gianfranco Scialpi

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