Vorrei fare una considerazione sulla balla della cosiddetta “autonomia scolastica” inventata dai burocrati romani del ministero dell’istruzione.
Nella scuola in cui insegno volevo proporre di anticipare di una settimana l’apertura della scuola a settembre, per gli alunni che si iscrivono alla prima classe, con orario ridotto, in modo da fare una specie di azzeramento, e portare allo stesso livello gli alunni provenienti dalle diverse scuole medie. Una settimana è poco, ma qualcosa si può fare.
Mi è stato detto che non si può fare, che il calendario scolastico è rigido.
Allora che senso ha la balla dell’autonomia scolastica di cui si riempiono la bocca i burocrati romani? Sono solo chiacchiere, balle ministeriali.
Il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti l’8 febbraio, durante una visita in Campania, aveva dichiarato: «Al Sud dico: non vi servono solo più fondi, che non mancheranno, dovete anche credere di più in voi stessi. Nelle vostre eccellenze». Aggiungendo: «Saremo vicini alle istituzioni scolastiche e alle realtà formative del Sud. Ma occorre che tutte le istituzioni del territorio facciano la loro parte. Ci vogliono impegno, lavoro, sacrificio e bisogna credere molto in quello che si fa». A un cronista che lo intervistava su come recuperare il divario con il Nord, il ministro aveva usato toni ancora più secchi. Sorvolando su nuovi fondi, aveva risposto: «Serve più sacrificio, più lavoro, più impegno. Vi dovete impegnare forte».
Ma quando da una scuola, in questo caso del sud, arriva una proposta per “lavorare di più”, ci scontra con una burocrazia romana kafkiana e fantozziana.
Emanuele C.