Il contratto collettivo nazionale dei dipendenti della Funzione Pubblica centrale è fermo ormai da oltre due anni e mezzo. Le trattative per il rinnovo, apertesi a giugno tra l’ARAN e le parti sociali, portano cattive notizie per i lavoratori del settore.
Lo stallo del rinnovo contrattuale frena gli stipendi statali
Secondo quanto riportato dal sindacato FP-Cgil, gli aumenti di stipendio proposti sarebbero davvero irrisori e non in grado di compensare l’inflazione galoppante degli ultimi tempi. Con un’inflazione stimata tra il 15-17% nel triennio 2022-2024, l’adeguamento retributivo previsto si fermerebbe infatti al solo 5,78%. Ciò significa una perdita del potere d’acquisto dei salari pubblici superiore al 10%.
A peggiorare la situazione, l’anticipo nel 2023 dell’indennità di vacanza contrattuale (IVC) del 2024. Secondo il sindacato, buona parte degli scarsi aumenti verrebbero dirottati sui salari accessori anziché sui minimi retributivi, vanificando di fatto ogni miglioramento reale per i lavoratori.
Con un bacino di 193mila dipendenti e finanziamenti aggiuntivi pari a circa 500 milioni, gli incrementi medi lordi si fermerebbero intorno ai 120 euro, che diventerebbero pochi spicci se distribuiti anche sul salario accessorio. Da qui la richiesta del sindacato di arrivare ad almeno 360 euro, triplicando gli importi.
Il rinnovo contrattuale dovrebbe inoltre puntare a rendere nuovamente attrattivo il lavoro nella Pubblica Amministrazione, in fuga da anni verso settori privati. Per il FP-Cgil è necessario destinare maggiori risorse agli stipendi, adeguandoli almeno all’inflazione programmata, e alle progressioni di carriera, per scongiurare un ulteriore impoverimento del settore.
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