Gentile Redazione di Informazione Scuola,
ho letto la lettera carica di dignità di una docente di sostegno. Personalmente apprezzo la passione dell’insegnante ma mi permetto di fare due osservazioni. La prima è in realtà una domanda; quanti docenti di sostegno sono come quella che ha firmato la lettera?
Ho un figlio con disabilità e debbo dire che siamo stati fortunatissimi con gli insegnanti (tutti non solo quella di sostegno) alle Scuole Medie (si chiamavano così!). Gregorio era sempre in aula, partecipava alle attività dei suoi compagni di classe e la Betti era, di fatto, un’insegnante dell’intera classe e non solo dello studente con disabilità. Oggi nonostante siano passati tanti anni, ci capita di incontrare persone che si presentano dicendo “Gregorio ed io eravamo compagni classe alle Medie Carducci”. Le conclusioni che si possono trarre sono ovvie e in linea con gli auspici contenuti nella lettera pubblicata. Ma…
ci sono docenti di sostegno (e vi garantisco che ne conosco diversi) che preferiscono tenere lo studente con disabilità nella stanzetta riservata, che diventa praticamente l’ufficio del docente di sostegno che è sempre sui social impedendo in questo modo allo studente di vivere l’esperienza scolastica con i compagni.
La seconda riflessione riguarda l’uso (anzi l’abuso) del termine inclusione.
Nella Società di oggi la comunicazione si basa molto su slogan e parole che hanno lo scopo di sintetizzare situazioni, spesso, complesse. Nel campo della solidarietà e, in particolare, nel campo della disabilità, una parola che è ricorrente è inclusione.
Ma siamo sicuri che nel contesto di un ragionamento il significato che vogliamo dare a questo termine sia appropriato?
Partiamo dalla sua origine che fa riferimento in Matematica alla Teoria degli insiemi. Includere un gruppo B di elementi in un insieme A, significa che B diventa un sottoinsieme dell’insieme A come nella figura che segue:
Come si può notare gli elementi di B sono comunque “confinati” nel loro “territorio”.
Si pensi ad una classe in una Scuola; uno studente con disabilità inserito nella classe costituisce un sottoinsieme dell’insieme degli studenti di quella classe. Il fatto che abbia disabilità non cambia la sua condizione di studente che però è confinato all’interno del sottoinsieme generato dalle sue diversità. In alcuni casi, come successo in una Scuola ad Afragola, lo studente con disabilità viene, incredibilmente, fatto allontanare per “non disturbare gli altri”.
Pensate ad una attività sportiva, ad esempio il nuoto. Animati da un ammirevole spirito di solidarietà, i responsabili della piscina decidono di fare entrare i ragazzi con disabilità per una mattina intera. A loro destinano una corsia dove nuotano separati dagli altri nuotatori che occupano le altre corsie.
Così negli stadi per assistere ad una partita o ad un concerto, i ragazzi dell’insieme B sono confinati in una zona “per loro”.
Potremmo fare numerosi altri esempi che hanno in comune lo stesso paradigma:
un gruppo B è dentro ad un insieme più grande A ma, pur avendo alcune caratteristiche uguali a quelli dell’insieme A, è confinato, per la presenza di altre caratteristiche diverse, all’interno del suo spazio.
Gli elementi di B non interagiscono “naturalmente” con gli altri elementi di A che sono fuori da B.
Non parliamo del mondo del lavoro, gli esempi di “confinamento” all’interno del luogo di lavoro, sono frequenti.
La giustificazione di queste scelte fa riferimento alle diverse condizioni fisiche e/o mentali delle persone disabili che necessitano di trattamenti diversi ma che, ciò nonostante, non giustificano il loro confinamento.
A questo punto non sorprendono le esternazioni di personaggi discutibili che privilegiano l’apparenza alla sostanza; per il mito della “razza efficiente” che non può perdere tempo, lasciano indietro tutti quelli che non rispettano criteri di selezione che tanti danni hanno creato durante il Nazi-Fascismo.
Ma è veramente questo quello che vorremmo?
Personalmente rispondo NO.
Nella Scuola come nel tempo libero, come nel lavoro, come nelle difficoltà di salute debbono essere posti dei paletti e le diversità debbono essere gestite con lo stesso atteggiamento con il quale adattiamo l’educazione dei figli alle loro caratteristiche individuali.
A questo punto è importante capire qual è l’ulteriore traguardo che tutti noi dobbiamo cercare di raggiungere per ridare valore all’Uomo e alla comunità degli uomini.
In tempi non troppo lontani le persone diverse (quindi non solo le persone con disabilità) venivano segregate ed escluse dalla Vita.
Negli ultimi anni si è fatto un grande passo avanti attraverso l’inclusione. Un cambiamento importante perché tante persone, prima invisibili, hanno incominciato ad essere ammesse ad attività prima esclusive degli altri. La parola Inclusione è diventata lo slogan di Politici e di amministratori, la parola chiave delle tante Associazioni nate nell’ambito della disabilità e delle famiglie che hanno visto aprirsi esperienze prima interdette.
Se quel termine non è usato non si viene presi in considerazione. In realtà occorre non solo aprire attività anche alle persone disabili ma vivere insieme quelle attività. Nel nuoto non ci deve essere una corsia riservata, negli stadi non ci debbono essere spazi dedicati e transennati, nella Scuola l’insegnante di sostegno deve essere un facilitatore di scambio di abilità con gli altri compagni di classe, non deve difendere il posto banco ma contribuire all’interazione tra gli studenti.
La nuova sfida è costruire una relazione tra i ragazzi con disabilità e gli altri; dobbiamo fare entrare le persone con disabilità nelle nostre vite senza accontentarci di avere aperto loro le porte della cultura, dell’arte, dello sport ma nella modalità “purchè non disturbino”.
Per fare questo il cuore e l’amore devono superare la ragione e l’egoismo. Si deve lasciare la possibilità al ragazzo con disabilità di esprimersi in libertà senza necessariamente confinarlo negli schemi nei quali siamo abituati che, tra l’altro, non è detto siano quelli giusti.
Ho personalmente partecipato a Meeting di nuoto dove nelle batterie erano contemporaneamente presenti ragazzi con o senza disabilità che si sfidavano senza pregiudizi o inopportuni pietismi.
Attraverso la relazione non gerarchica si può cambiare in meglio la nostra società facendola diventare una società nella quale le persone interagiscono, una società che è diversa da quella attuale basata sull’inclusione che tiene confinati gli elementi dell’insieme B all’interno di A.
La nuova parola d’ordine è dunque RELAZIONE.
Prof. Gianni R.
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